Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza appena predisposto dal Governo, e inviato alla Commissione europea, la parola «corruzione» appare 17 volte.
La si trova quando il Piano menziona le raccomandazioni dell’Unione europea nel corso delle proprie sessioni 2019 e 2020 di valutazione economica, finanziaria nonché del rispetto dello Stato di diritto. All’Italia vi si chiede di «migliorare l’efficacia della lotta contro la corruzione riformando le norme procedurali al fine di ridurre la durata dei processi penali» (pp. 28 e 51).
La si ritrova quando il Piano (p.52) «vanta…una legislazione anticorruzione…(con) elementi di forza riconosciuti da osservatori internazionali».
Si ripete quando il Piano prevede (p.238) l’istituzione presso il Ministero dell’economia e delle finanze di «un apposito Organismo di audit del PNRR indipendente e responsabile del sistema di controllo interno, per proteggere gli interessi finanziari dell’Unione e più specificamente per prevenire, identificare, segnalare e correggere casi di frode, corruzione o conflitto di interesse».
La ricorrenza sistematica della parola avviene nella smilza paginetta (p.69) dove, sotto il titolo «Abrogazione e revisione di norme che alimentano la corruzione», se ne enunciano «obiettivo», nonché «modalità» e «tempi di attuazione». Il tema è compreso nel capitolo (p. 64 ss.) dedicato a «Le riforme abilitanti: semplificazione e concorrenza».
Si possono manifestare sul punto serie preoccupazioni.
Occorre infatti richiamare il regolamento UE 2021/241, che istituisce quel Dispositivo europeo per la ripresa e la resilienza corrispondente alla gran parte – 672,5 miliardi di euro – del Next Generation EU di 750 miliardi alla cui attuazione sono rivolti, per l’ambito di rispettiva competenza, i diversi Piani nazionali. L’art. 19 del regolamento è esplicito nell’individuare i parametri di efficacia che il PNRR globalmente, nonché ogni singolo progetto in esso contenuto, devono raggiungere affinché se ne dimostri l’impatto duraturo sullo Stato membro interessato, e conseguentemente nell’intera UE, contemplando misure per l’attuazione di riforme e di progetti di investimento pubblico rappresentative di azioni coerenti.
Strettamente connessa è la situazione che, pur non riguardando esclusivamente il nostro Paese, in tema di corruzione certo deve essere attentamente presidiata in Italia. Il regolamento europeo richiede infatti chele modalità proposte dallo Stato membro nel proprio PNRR siano tali da prevenire, individuare e contrastare anche sul piano penale la corruzione, la frode e i conflitti di interessi nell’utilizzo dei fondi, comprese le modalità volte a evitare la duplicazione dei finanziamenti da parte del dispositivo e di altri programmi dell’Unione.In Italia (come altrove) vi è la consapevolezza – maturata dalla prassi rilevata nel corso del primo anno di pandemia ma ben presente a chi già in precedenza vigilava il mercato dei contratti pubblici – che non si debba abbassare la guardia a fronte del rischio di infiltrazioni criminose (organizzate e non) nell’uso dell’ingentissimo ammontare di risorse finanziarie impegnate nel fronteggiare i danni economici e sociali determinati dalla pandemia.
Ora, il passaggio sopra menzionato del nostro PNRR ha da questa prospettiva contenuti sorprendenti. Sorprendono le affermazioni generiche, vaghe e in controtendenza con quanto le valutazioni internazionali (apprezzate dallo stesso PNRR!) accreditano come un efficace antidoto alla cattiva amministrazione e alle condotte illegali: pensiamo al GRECO (Group d’États contre la Corruption) del Consiglio d’Europa, all’OCSE, alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione e complessivamente alla stessa UE. Il nostro Piano afferma infatti che «occorre evitare che alcune norme nate per contrastare la corruzione impongano alle amministrazioni pubbliche e a soggetti privati di rilevanza pubblica oneri e adempimenti troppo pesanti»: ma al riguardo esemplificativamente si mettono nel mirino lo strumento della trasparenza amministrativa e i «ben tre tipi di accesso ai documenti e alle informazioni amministrative».
Per attuare questa riforma, definita «abilitante», la medicina sarebbe dunque quella di semplificare la disciplina contenuta nella “legge Severino” (l. n. 190/2012, Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella P.A.), nonché nei suoi due decreti delegati: quello sulle inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni (d.lgs. n. 39/2013) e quello, appunto, sulla trasparenza amministrativa (d.lgs. n. 33/2013 come integrato dal d.lgs. n. 97/2016, il cosiddetto Freedom of Information Act italiano).
Insomma, par s’intenda dare fiato all’impostazione concettuale che ha accompagnato costantemente la vita dell’Autorità Nazionale Anticorruzione/ANAC nei suoi primi sei anni di funzionamento, secondo la quale le misure di prevenzione della corruzione rappresentano un appesantimento burocratico da buttare. Non sembra si intenda valorizzarne l’applicazione sostanziale e professionale, non ridotta a mero adempimento formale, che sola contribuirebbe efficacemente a una (tanto auspicata) migliore organizzazione nell’esercizio della funzione pubblica e dunque, in definitiva, alla sua efficienza. Non si considera che i «ben tre tipi di accesso ai documenti» concorrono – da prospettive e con finalità assai differenti – a dare concretezza al diritto fondamentale del cittadino di conoscere per essere cittadino consapevole ed esercitare, appunto consapevolmente, i diritti e i doveri di sovranità che l’art. 1 della Costituzione gli riconosce.
Nel passaggio che sopra si ricordava il PNRR afferma anche che è «necessario eliminare le duplicazioni e le interferenze tra diverse tipologie» di procedure (nel caso si parla delle ispezioni amministrative), le quali «da antidoti della corruzione sono divenute spesso occasione di corruzione».
Quindi: come semplificare?
Ne parliamo la settimana prossima, ragionando sulle … complicazioni della semplificazione con particolar riguardo al Codice dei contratti pubblici del 2016, che secondo qualcuno sarebbe addirittura da «azzerare».
Dino G. Rinoldi e Nicoletta Parisi