Quale democrazia post-COVID?

Cominciamo dalla fine.
Se il tempo contrassegnato da COVID-19 ha reso chiara una cosa è che è l’epilogo, e non l’inizio, che connota. Vale per ogni serie TV, di quelle sulle piattaforme digitali viste nelle serate senza alternativa. Vale per noi stessi: quello che siamo oggi conta più di quello che eravamo fino a febbraio 2020 e più di tutti i modi in cui ci eravamo immaginati di poter essere. 

Continua a leggere l’articolo di Leonardo Ferrante su Sintesi Dialettica.

Conferenza stampa 1 giugno, h 11

Presentazione dell’iniziativa promossa da Università Cattolica, CNEL, Fondazione Etica, Libera.

Segui sulla piattaforma Microsoft Teams (il link QUI).

Martedì 1° giugno, alle ore 11.00 in videoconferenza.

Interverranno i rappresentanti delle istituzioni promotrici del progetto:
Franco Anelli, rettore dell’Università Cattolica
Don Luigi Ciotti, presidente di Libera/Gruppo Abele
Gregorio Gitti, presidente di Fondazione Etica
Tiziano Treu, presidente del CNEL

Introdurrà i lavori la professoressa dell’Università Cattolica Nicoletta Parisi, coordinatore di LIBenter.

Alla presentazione parteciperanno anche gli attuali partner dell’iniziativa:
ASes, Openpolis, ISTeA, Osservatorio civico PNRR, Gran Sasso Science Institute

Sulle tracce della corruzione nel PNRR italiano (a scapito della trasparenza?)

Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza appena predisposto dal Governo, e inviato alla Commissione europea, la parola «corruzione» appare 17 volte.

La si trova quando il Piano menziona le raccomandazioni dell’Unione europea nel corso delle proprie sessioni 2019 e 2020 di valutazione economica, finanziaria nonché del rispetto dello Stato di diritto. All’Italia vi si chiede di «migliorare l’efficacia della lotta contro la corruzione riformando le norme procedurali al fine di ridurre la durata dei processi penali» (pp. 28 e 51).

La si ritrova quando il Piano (p.52) «vanta…una legislazione anticorruzione…(con) elementi di forza riconosciuti da osservatori internazionali».

Si ripete quando il Piano prevede (p.238) l’istituzione presso il Ministero dell’economia e delle finanze di «un apposito Organismo di audit del PNRR indipendente e responsabile del sistema di controllo interno, per proteggere gli interessi finanziari dell’Unione e più specificamente per prevenire, identificare, segnalare e correggere casi di frode, corruzione o conflitto di interesse».

La ricorrenza sistematica della parola avviene nella smilza paginetta (p.69) dove, sotto il titolo «Abrogazione e revisione di norme che alimentano la corruzione», se ne enunciano «obiettivo», nonché «modalità» e «tempi di attuazione». Il tema è compreso nel capitolo (p. 64 ss.) dedicato a «Le riforme abilitanti: semplificazione e concorrenza».

Si possono manifestare sul punto serie preoccupazioni.

Occorre infatti richiamare il regolamento UE 2021/241, che istituisce quel Dispositivo europeo per la ripresa e la resilienza corrispondente alla gran parte – 672,5 miliardi di euro – del Next Generation EU di 750 miliardi alla cui attuazione sono rivolti, per l’ambito di rispettiva competenza, i diversi Piani nazionali. L’art. 19 del regolamento è esplicito nell’individuare i parametri di efficacia che il PNRR globalmente, nonché ogni singolo progetto in esso contenuto, devono raggiungere affinché se ne dimostri l’impatto duraturo sullo Stato membro interessato, e conseguentemente nell’intera UE, contemplando misure per l’attuazione di riforme e di progetti di investimento pubblico rappresentative di azioni coerenti.

Strettamente connessa è la situazione che, pur non riguardando esclusivamente il nostro Paese, in tema di corruzione certo deve essere attentamente presidiata in Italia. Il regolamento europeo richiede infatti chele modalità proposte dallo Stato membro nel proprio PNRR siano tali da prevenire, individuare e contrastare anche sul piano penale la corruzione, la frode e i conflitti di interessi nell’utilizzo dei fondi, comprese le modalità volte a evitare la duplicazione dei finanziamenti da parte del dispositivo e di altri programmi dell’Unione.In Italia (come altrove) vi è la consapevolezza – maturata dalla prassi rilevata nel corso del primo anno di pandemia ma ben presente a chi già in precedenza vigilava il mercato dei contratti pubblici – che non si debba abbassare la guardia a fronte del rischio di infiltrazioni criminose (organizzate e non) nell’uso dell’ingentissimo ammontare di risorse finanziarie impegnate nel fronteggiare i danni economici e sociali determinati dalla pandemia.

Ora, il passaggio sopra menzionato del nostro PNRR ha da questa prospettiva contenuti sorprendenti. Sorprendono le affermazioni generiche, vaghe e in controtendenza con quanto le valutazioni internazionali (apprezzate dallo stesso PNRR!) accreditano come un efficace antidoto alla cattiva amministrazione e alle condotte illegali: pensiamo al GRECO (Group d’États contre la Corruption) del Consiglio d’Europa, all’OCSE, alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione e complessivamente alla stessa UE. Il nostro Piano afferma infatti che «occorre evitare che alcune norme nate per contrastare la corruzione impongano alle amministrazioni pubbliche e a soggetti privati di rilevanza pubblica oneri e adempimenti troppo pesanti»: ma al riguardo esemplificativamente si mettono nel mirino lo strumento della trasparenza amministrativa e i «ben tre tipi di accesso ai documenti e alle informazioni amministrative».

Per attuare questa riforma, definita «abilitante», la medicina sarebbe dunque quella di semplificare la disciplina contenuta nella “legge Severino” (l. n. 190/2012, Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella P.A.), nonché nei suoi due decreti delegati: quello sulle inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni (d.lgs. n. 39/2013) e quello, appunto, sulla trasparenza amministrativa (d.lgs. n. 33/2013 come integrato dal d.lgs. n. 97/2016, il cosiddetto Freedom of Information Act italiano).

Insomma, par s’intenda dare fiato all’impostazione concettuale che ha accompagnato costantemente la vita dell’Autorità Nazionale Anticorruzione/ANAC nei suoi primi sei anni di funzionamento, secondo la quale le misure di prevenzione della corruzione rappresentano un appesantimento burocratico da buttare. Non sembra si intenda valorizzarne l’applicazione sostanziale e professionale, non ridotta a mero adempimento formale, che sola contribuirebbe efficacemente a una (tanto auspicata) migliore organizzazione nell’esercizio della funzione pubblica e dunque, in definitiva, alla sua efficienza. Non si considera che i «ben tre tipi di accesso ai documenti» concorrono – da prospettive e con finalità assai differenti – a dare concretezza al diritto fondamentale del cittadino di conoscere per essere cittadino consapevole ed esercitare, appunto consapevolmente, i diritti e i doveri di sovranità che l’art. 1 della Costituzione gli riconosce.

Nel passaggio che sopra si ricordava il PNRR afferma anche che è «necessario eliminare le duplicazioni e le interferenze tra diverse tipologie» di procedure (nel caso si parla delle ispezioni amministrative), le quali «da antidoti della corruzione sono divenute spesso occasione di corruzione».

Quindi: come semplificare?

Ne parliamo la settimana prossima, ragionando sulle … complicazioni della semplificazione con particolar riguardo al Codice dei contratti pubblici del 2016, che secondo qualcuno sarebbe addirittura da «azzerare».

Dino G. Rinoldi e Nicoletta Parisi

Recovery Plan: non solo progetti, ma anche qualità della spesa

Ai Paesi membri che vogliono accedere al Recovery Fund l’Unione Europea chiede un serio piano di investimenti e, al contempo, di riforme. Tra queste ultime, le country specific recommendations per l’Italia puntano soprattutto sulla riforma della Pubblica Amministrazione. Non a caso: per essere efficace nessun investimento può prescindere da una macchina amministrativa trasparente ed efficiente nei diversi livelli territoriali di governo.

La ripresa economica non sarà solo una questione di quanti soldi arriveranno nel nostro Paese, ma anche e soprattutto di “come” quei soldi saranno spesi e “da chi”. In altre parole, iniettare liquidità, ad esempio nelle Regioni e nei Comuni, non sarà sufficiente a garantire una ripresa diffusa ed equa, se Regioni e Comuni non si doteranno di quella che nella terminologia europea viene definita “capacità istituzionale”.

Nel dibattito politico, invece, l’attenzione sembra concentrarsi quasi esclusivamente su quali progetti di investimento scegliere – se più per la green economy o per la digitalizzazione- e su chi dovrà gestire i relativi aiuti europei. Va bene, ma non basta. Serve cominciare subito a porre l’accento sul rafforzamento di quella “capacità istituzionale” che l’Europa esige come condizione essenziale affinché il Recovery Fund non rischi di essere sprecato.

È chiaro che una riforma della PA che aumenti quella capacità non si realizza in pochi mesi, ma per predisporre almeno un percorso riformatore credibile agli occhi dell’UE il Governo deve dotarsi sin da ora di un quadro conoscitivo generale delle Pubbliche Amministrazioni. E questo per il semplice motivo che non si può migliorare ciò che non si conosce.

Di quel quadro, attualmente, non dispone nessuna istituzione pubblica, se non limitatamente ad aspetti parziali, ma ne ha posto le basi il legislatore italiano, nel 2013, con il cosiddetto “decreto trasparenza”. Questa disciplina, obbligando tutte le PA a pubblicare le stesse informazioni nello stesso formato, con la stessa cadenza e nella stessa sezione dei rispettivi siti web, permette di misurare performance e integrità di ogni Amministrazione, di compararla con quelle della stessa tipologia, di seguirne il trend cronologico.

Quella banca dati “di fatto” che il legislatore ha reso obbligatoria per l’universo PA con la sezione “Amministrazione Trasparente” sui siti web istituzionali appare oggi disordinata e confusa anche per gli addetti ai lavori, e quindi poco fruibile. Tuttavia, l’applicazione della metodologia di valutazione dei cosiddetti “indici di sostenibilità ESG” la può trasformare in una fonte ricchissima per mappare le Amministrazioni Pubbliche e il loro stato di efficienza, trasparenza e integrità. Grazie a uno di quegli indici, sono già disponibili i risultati comparati sulle Regioni e sui Comuni capoluogo di provincia: un patrimonio informativo il cui valore diagnostico non può essere ignorato nel nostro Paese, ora che la Commissione Europea lo ha indirettamente riconosciuto dando avvio ad un progetto pilota per la verifica in altri Paesi membri.

Un buon risultato per il Governo sarebbe già quello di realizzare la prima due diligence delle Pubbliche Amministrazioni in Italia. Ciò gli consentirebbe di predisporre un piano di rafforzamento amministrativo, che, senza necessità di varare nuove norme, può diventare una delle riforme più apprezzate dall’Unione Europea. Tristemente nota, infatti, per le sue inefficienze e sprechi, l’Italia ha l’opportunità di dimostrare di avere avviato un serio e profondo processo di miglioramento della qualità della spesa proprio a partire dal miglioramento dell’apparato amministrativo pubblico.

Ciò comporta che la riforma della PA non può più essere appannaggio solo del Ministero della Funzione Pubblica, ma anche di quello dell’Economia e delle Finanze, come del CNEL: mappare lo stato di salute delle Amministrazioni significa fornire al MEF una bussola per allocare i fondi europei che arriveranno puntando sul merito e, dunque, sulla qualità della spesa, premiando le Amministrazioni più virtuose e incentivando quelle che non lo sono abbastanza.

Ciò non significa, naturalmente, che le Amministrazioni meno performanti e più opache non devono essere supportate. Nel pieno rispetto del principio perequativo della nostra Costituzione, il Governo deve poter condizionare gli aiuti a un serio impegno sul rafforzamento della capacità amministrativa. In altri termini, le PA saranno più incentivate a realizzare quel rafforzamento se da esso dipenderà almeno parte della distribuzione del Recovery Fund.

Agli incentivi finanziari si aggiungeranno, poi, quelli di tipo reputazionale: i primi, infatti, consentendo a Regioni e Comuni di offrire più servizi e investimenti sui territori, sono in grado di aumentare la soddisfazione dei cittadini e, conseguentemente, la reputazione dell’ente pubblico.

La doppia incentivazione – finanziaria e reputazionale – derivante dalla conoscenza e valutazione delle PA è stata spiegata con grande chiarezza dalla Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle Amministrazioni Pubbliche (CIVIT, ora diventata ANAC): “I sistemi di misurazione assumono un carattere ancora più rilevante in situazioni di ciclo economico negativo” almeno per “due ordini di ragioni: la prima relativa alla soddisfazione delle esigenze dei cittadini e la seconda relativa alla migliore capacità di scelta e di selezione da parte delle autorità competenti in ordine all’allocazione delle risorse. Quanto al primo profilo (…) la soddisfazione e il coinvolgimento del cittadino costituiscono il vero motore dei processi di miglioramento e innovazione. Quanto al secondo profilo, la misurazione della performance consente di migliorare l’allocazione delle risorse fra le diverse strutture, premiando quelle virtuose e di eccellenza e riducendo gli sprechi e le inefficienze.” Sono parole scritte nel 2012, ma che tornano molto attuali.

Se l’Italia avvierà quel trend virtuoso – conoscere le PA, supportarle nel miglioramento, distribuire fondi europei sulla base del merito e dell’impegno- sarà in grado di attrarre, dopo il Recovery Fund, anche i capitali privati, ad esempio dei fondi di investimento istituzionali, e quelli degli investitori internazionali. Capitali che, come quelli europei, investono in un Paese non solo per i suoi progetti, ma soprattutto per la credibilità delle sue istituzioni.

P.Caporossi e G.Gitti

Quanti “occhi civici” serviranno per monitorare il PNRR?

Duecentosessantasette sono le pagine del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza;  sei le missioni (dalla digitalizzazione alla salute, passando per l’istruzione e l’inclusione sociale); sessantadue gli investimenti previsti per 235 miliardi di euro; una lunga serie le riforme propedeutiche (dalla semplificazione alla giustizia, inclusa una sulla prevenzione della corruzione e per le forme di trasparenza).

Quanti “occhi civici” serviranno per fare in modo che, di fronte a questi cambi epocali e a una mole di azioni in grado di coinvolgere tutti i territori e tutti gli ambiti dell’organizzazione della cosa pubblica, si converga davvero verso il bene comune? Che non si disperdano risorse e fiducia collettiva?

Premessa: ci abbiamo provato, e molto, a fare in modo che già in fase di ideazione del PNRR si prevedesse tanto una forte partecipazione quanto l’inserimento di forme di monitoraggio civico a garanzia di queste risorse e delle azioni propedeutiche alla loro spesa. Ci troviamo oggi con un PNRR che è stato aperto solo ad alcuni, ed un relativo piano della governance del Plan che esclude tavoli come quello dell’Open Government Partnership. Ovunque esista nel mondo, tale iniziativa assurge proprio a queste funzioni. Abbiamo provato a farci ascoltare, sebbene la nostra voce sia rimasta largamente non raccolta. 

Per monitorare, però, non bisogna chiedere il permesso. È la legge che ci riconosce già fin d’ora il diritto/dovere, quindi la responsabilità, di operare quel “controllo diffuso” dell’operato della pubblica amministrazione. E a maggior ragione vale per il PNRR.

Bisogna però sapere come farlo. O meglio, bisogna saper fare due cose. Sapere come monitorare un documento così complesso, e sapere attivare comunità monitoranti che ovunque s’impegnino a vigilare la realizzazione di quanto il Plan prevede.

Per perseguire questo doppio fine nasce LIBenter, che sta per L’Italia Bene comune Nuova, Trasparente, Europea, Responsabile.
Università Cattolica del Sacro Cuore, Cnel, Fondazione etica e Libera, assieme a ASeS, Openpolis, ISTeA, Osservatorio Civico PNRR e Gran Sasso Science Institute, hanno lanciato un’iniziativa che vuole unire competenze accademiche a competenze civiche, forte anche del supporto di istituzioni nazionali, per generare quegli occhi.

Il contributo di Fondazione Etica

Il contributo di Fondazione Etica al Progetto LIBenter

Per la riuscita del PNRR l’attenzione di tutti sarà concentrata sui singoli progetti da realizzare e sulle modalità di spesa dei fondi europei che arriveranno.

Saranno, pertanto, necessari, in primis, l’elaborazione di un metodo di valutazione, l’attivazione di comunità monitoranti.

Manca un ulteriore tassello: la valutazione delle Amministrazioni regionali e/o locali che saranno chiamate ad avviare gli investimenti e spendere il denaro del PNRR.

A mancare, in particolare, è la valutazione della loro capacità amministrativa, che è quello che l’Europa raccomanda sempre ai suoi Paesi Membri nel momento della destinazione dei fondi europei, non solo di quelli post-pandemia. Una buona capacità amministrativa, infatti, è la premessa essenziale per i Comuni e/o le Regioni che puntano su investimenti trasparenti e di successo.

Per questo, è altrettanto essenziale misurare la capacità amministrativa: non per dare pagelle, ma per capire se e dove occorre intervenire per supportare le Amministrazioni. Prima dell’arrivo dei fondi europei, non dopo. Altrimenti, sarà come iniettare benzina (i soldi del PNRR) in una macchina con il motore in panne (scarsa trasparenza, integrità ed efficienza): non servirebbe, e anzi ingolferebbe la macchina stessa.

Il decreto legislativo n. 33/2013 e la legge n. 190/2012 consentono non solo di valutare, ma anche di comparare la capacità amministrativa delle PA, ed è quello che farà Fondazione Etica come supporto al progetto di Libenter.

La Fondazione, infatti, ha costruito da tempo un modello di misurazione della trasparenza, integrità ed efficienza delle PA che individua i punti di forza e di debolezza di ciascuna, consentendo di intervenire a supporto del miglioramento della macchina amministrativa prima e durante l’attuazione del PNRR.

L’obiettivo sarà anche di fornire alle comunità monitoranti strumenti semplici, ma solidi, per rapportarsi con i Comuni e Regioni di riferimento alla pari.

Il modello di valutazione si chiama Rating Pubblico ed è un indice di sostenibilità delle PA che si basa sui dati che esse stesse pubblicano nella sezione Amministrazione Trasparente dei rispettivi siti web. Il modello è oggetto di un progetto pilota proprio da parte della Commissione Europea.

Qui maggiori dettagli: www.ratingpa.it

Perchè ognuno è importante per la riuscita del PNRR

Il PNRR non è solo materia da esperti, nè solo delle istituzioni. Da esso dipenderà la possibilità di una vera ripresa del nostro Paese e non possiamo, dunque, disinteressarcene, alzando le spalle perchè tanto “non mi riguarda”. Il PNRR riguarda la vita di ciascuno di noi, ed è pertanto importante che ognuno si attivi in un’azione di conoscenza, prima, e di monitoraggio attivo, poi. LIBenter nasce per questo.