La notizia pubblicata giovedì 9, che con qualche ironia apprezzava l’europeismo del Ministro Giorgetti rispetto all’Inflation Reduction Act USA, accennava al contesto economico complessivo che sta vedendo la “messa a terra” in Italia dei progetti finanziati dal PNRR. Terminava con l’attesa dei risultati del Consiglio europeo dei 27 capi degli esecutivi degli Stati membri UE, e col richiamo a tempi…che oramai si son fatti stretti!
Le conclusioni del Consiglio europeo, al punto II ( parr.13-18), trattano di economia, e alla lettera b del par.15 affermano in particolare che, “per agevolare la transizione verde in tutta l’Unione ed evitare la frammentazione del mercato unico, una risposta politica dell’UE pienamente efficace richiede un accesso equo ai mezzi finanziari”. A tal fine, i fondi UE esistenti (fra cui quelli che finanziano i PNRR dei vari Stati, dispositivi inclusi nell’ innovativo strumento finanziario denominato Next Generation EU) “dovrebbero essere impiegati in modo più flessibile”. La qualità della flessibilità affermata in via di principio sembra insomma da declinare nella (sola) prospettiva di progetti che agevolino “la transizione verde” ed evitino “la frammentazione del mercato unico”.
“E’ un buon risultato? E’ poco? Dipende…” dice G. Trovati nell’articolo a p.5 de Il Sole-24 Ore dell’11 febbraio (“Su PNRR e fondi UE l’Italia ottiene una flessibilità tutta da negoziare”).
E infatti sugli aiuti di Stato, che Paesi UE più solidi dal punto di vista del contenimento del debito pubblico ( come Germania e Francia) intendono adottare, il Consiglio europeo è più esplicito, anche al fine di ammetterli provvisoriamente tutelando comunque i principi del mercato unico (v. par.15, lettera a, dove si afferma in materia la necessità di semplicità, rapidità e prevedibilità per sostegni mirati, temporanei e proporzionati…, sempre nei settori strategici della transizione verde”, e si sollecita a prestare “inoltre…grande attenzione al mantenimento della competitività delle PMi”, salvaguardando “l’ integrità del mercato unico e la parità di condizioni al suo interno”, e nel contempo si invita “la Commissione a riferire periodicamente al Consiglio riguardo all’impatto di tale politica in materia di aiuti di Stato sul mercato unico nonché sulla competitività globale dell’UE”).La conclusione ulteriore è nel senso della sufficienza degli attuali finanziamenti disponibili a livello UE, senza promuovere la costituzione di un ulteriore “fondo sovrano”, alimentato da debito comune europeo, nemmeno per “fornire sostegno tempestivo e mirato nei settori strategici” ( par. 15, lettera b, del comunicato finale).
G. Trovati sottolinea quindi che la quantità e qualità di “flessibilità” possibile concretamente nel nostro Piano di ripresa e resilienza dipenderà dal “fare entrare nel vivo i negoziati sulle revisioni dei PNRR” e sulle integrazioni con gli altri sistemi di finanziamento UE (fra cui il progettato REpowerEU).
Ci sarà, allora, anche l’estensione del tempo di durata del PNRR, attualmente previsto fra il 2021 e il 2026, fino a comprendere almeno pure l’anno 2027? Chissà. I tempi restano stretti se si pensa al contesto mondiale e alle catastrofi sparse e collegate in esso ricomprese: allungarli sembra impresa titanica!
Dino G. Rinoldi