Al tempo dell’apparente paradosso mondiale dell’involuzione delle democrazie liberali, da una parte, e dell’aumento delle prove elettorali, da un’altra parte, l’Unione europea resta luogo di importanti esperienze e di visioni di futuro. Così, lascio ad altra occasione (se tempo ci verrà dato) il ragionamento su autocrazie montanti e democrazie recessive, su democrazie liberali o meramente elettorali (v. fra gli altri G. Ottaviano, Riglobalizzazione, Egea, Milano, 2022), al tempo delle guerre alle porte tanto terrestri quanto marittime dell’Europa istituzionale nata a metà del secolo scorso e dell’uso – per ora solo verbale – dell’arma nucleare. Piuttosto, mi sembra in questi giorni significativo ricordare almeno tre delle articolate modalità di principale controllo periodico – da parte della Commissione europea – circa la condizione degli Stati membri e la loro evoluzione in determinati campi ai fini della miglior loro partecipazione all’Unione.
Si tratta anzitutto del consolidato esercizio annuale di verifica denominato «semestre europeo». Grazie ad esso gli Stati membri ricevono consulenza da parte della Commissione (sotto forma di “orientamenti”) e raccomandazioni individuali (cioè raccomandazioni specifiche per ognuno di essi) in relazione alle proprie politiche di bilancio e alle strategie di carattere economico, occupazionale e in materia di istruzione, nonché sulla correzione di eventuali squilibri macroeconomici.
In secondo luogo viene prodotto, sempre da parte della Commissione, anche il «quadro di valutazione della giustizia». Esso presenta una panoramica annuale di indicatori riguardanti la qualità e l’indipendenza dei sistemi giudiziari degli Stati membri, con lo scopo di aiutare questi ultimi a migliorarne l’efficienza e l’efficacia fornendo dati oggettivi, affidabili e comparabili.
Una terza attività cade, come noto, nel perimetro dell’art. 2 del Trattato sull’Unione europea, secondo cui «L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini». Si tratta dell’annuale «relazione sullo Stato di diritto» dove si esaminano tutti gli Stati membri e, da ultimo, anche alcuni Paesi candidati all’adesione all’UE (Albania, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia) da quattro punti di vista: 1. il funzionamento del sistema giudiziario nazionale; 2. il sistema di contrasto alla corruzione; 3. la libertà e il pluralismo dei mezzi di comunicazione; 4. certi aspetti istituzionali relativi al bilanciamento fra poteri dello Stato e alla partecipazione dei cittadini all’attività pubblica.
Il 24 luglio è stata resa pubblica dalla Commissione europea la quinta relazione in materia, facendo taluno notare un avvenuto rinvio rispetto alla data dell’8 luglio originariamente prevista, attribuendo il fatto all’intenzione di Ursula von der Leyen di non urtare suscettibilità governative italiane (e non solo) per non pregiudicarne l’appoggio alla propria rielezione come Presidente della Commissione UE, avvenuta il 18 luglio. Il «Capitolo sulla situazione dello Stato di diritto in Italia» ammonta a 48 pagine, che accompagnano il documento «Relazione sullo Stato di diritto 2024. La situazione dello Stato di diritto nell’Unione europea», e vi si sottolineano non poche criticità nell’attuale evoluzione del nostro ordinamento.
Le si possono brevemente riassumere, almeno con riferimento alle raccomandazioni indirizzate al nostro Paese da parte della Commissione, e omettendo riferimenti a questioni – come quelle della riforma concernente il “premierato” o della disciplina dell’abuso d’ufficio – che non sono oggetto di specifiche raccomandazioni pur emergendo preoccupazioni della Commissione stessa per l’evoluzione dell’ordinamento italiano al riguardo.
Quanto al “sistema giustizia”, anzitutto, si avverte la necessità indilazionabile di completare rapidamente un’efficiente digitalizzazione delle corti penali e degli uffici del pubblico ministero, specie ai fini della contrazione dei tempi processuali.
Quanto poi al contrasto alla corruzione ci si duole che non si sia potuta ancora adottare una legislazione adeguata sui conflitti di interesse, sul lobbying, sul finanziamento dei partiti politici e delle campagne elettorali nonché sulle relative donazioni da parte di privati.
Quanto al sistema dell’informazione, inoltre, si sottolinea l’esigenza di completare il processo legislativo di riforma della diffamazione, del regime di protezione della riservatezza delle fonti giornalistiche, evitando impatti negativi sulla libertà dei giornalisti e garantendo i necessari finanziamenti pubblici per assicurare l’indipendenza dei mezzi di comunicazione.
Quanto infine agli aspetti istituzionali si ribadisce quanto in passato già stigmatizzato circa il mancato adempimento da parte dell’Italia dei “Principi di Parigi delle Nazioni Unite”, non avendo il Paese ancora istituito l’agenzia nazionale indipendente per i diritti umani da essi richiesta. Questi principi – adottati dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con risoluzione del 20 dicembre 1993 – definiscono gli standard minimi che una siffatta agenzia deve possedere (anche ai fini del suo accreditamento presso le NU stesse) per garantire indipendenza ed efficacia nella promozione e protezione interna dei diritti umani. L’istituzione dell’agenzia è reputata talmente importante da essere divenuta un indicatore (il numero 16.A.1) nell’Agenda 2030 delle NU per lo sviluppo sostenibile.
E in particolare ritornando sulla libertà dell’informazione pare estremamente significativo ricordare conclusivamente quanto Sergio Mattarella ha detto al Quirinale proprio il 24 luglio, nella tradizionale cerimonia cosiddetta del ventaglio, quando ha rammentato «che i giornalisti si trovano ad esercitare una funzione di carattere costituzionale che si collega all’articolo 21 della nostra Carta fondamentale» e che «ogni atto contro la libera informazione è eversivo». Eversivo!
Cosicché la nostra Presidente del Consiglio dei ministri, Meloni, ne ricava l’obbligo di risentirsi con la Presidente della Commissione europea indirizzandole il 28 luglio una lunga lettera di precisazioni che esordisce con «Cara Ursula» e continua lamentando che il contenuto del documento della Commissione sia «stato distorto a uso politico da alcuni nel tentativo di attaccare il Governo italiano». Si dispiace perciò del fatto «che neppure la Relazione della Commissione sullo stato di diritto e in particolare sulla libertà di informazione sul servizio pubblico radiotelevisivo sia stata risparmiata dai professionisti della disinformazione e della mistificazione», confermando «da parte del Governo italiano … ogni sforzo per assicurare in Italia e in Europa il pieno rispetto dei valori fondanti alla base dell’Unione europea e l’assiduo impegno a far progredire l’Italia nell’ambito della libera informazione, del contrasto alle fake news e del pluralismo del servizio pubblico radio televisivo dopo decenni di sfacciata lottizzazione politica”. Meno male!
Dino G. Rinoldi
Articolo pubblicato su www.movimentoeuropeo.it: https://movimentoeuropeo.it/component/content/article/9-uncategorised/3015-newsletter-24-luglio-2024-relazione-sullo-stato-di-diritto-2024?Itemid=437